Non capivo perché le persone dovessero uscire dalla mia vita;
più mi legavo loro, più erano temporanee; più vi speravo, più diventavano indeterminate.
Fu così che compresi che la vita è un straordinario e doloroso via vai di persone,
continuamente ne arriveranno, continuamente ne usciranno.
Chissà che forse mai mi abituerò all’idea di questa realtà?
Mai mi spiegherò perché il naturale flusso delle cose, il perdersi per ritrovarsi o talvolta solo perdersi, a me rechi tanto scompiglio?
Come se lasciassi qualcosa indietro, senza cui andare avanti sarebbe incompleto e ingiusto, come un lavoro mai finito o un’ amicizia perduta, un amore mal consumato…
Più pretesi di rimediare, più scavai il fosso.
Più rivolli il passato più questo diveniva irraggiungibile ed irriconoscibile.
Cercavo soprattutto là me che ero, senza comprendere che oggi non avrei più senso d’esistere.
Oggi sono altra, formazione di tutti i miei lutti interiori, le battaglie ceche, i dolori inflittami, i sorrisi sprecati e i baci mai dati.
Oggi mi sento così piccola e grande, cosa sono 21 anni, un quinto di secolo intanto…
Così precaria e non-formata costruisco una vita a scivoloni.
Mi guardo attorno ma non riconosco, non mi sento parte di tante cose, talune le ho già consumate, talaltre non oso sfiorare.
Eterna complicazione, connubio di errori e miracoli, proseguo un’esistenza cui non conosco il fine.
La magia dell’ignoto mi atterrisce e tiene in vita al contempo.
Se non sapessi di non sapere, non oserei rimanere.